Un aspetto da migliorare per superare l’ormai annoso
problema della disoccupazione è l’incontro tra la domanda e l’offerta di
lavoro. Di fronte ai dati preoccupanti e purtroppo stabili che emergono dagli
studi dei centri di controllo, il Comune, soprattutto grazie all'impegno dell'Assessore ai Servizi Sociali e alle Politiche Giovanili, Arianna Moreschi, ha organizzato un evento, il career day lavoro, in cui i
giovani avranno la possibilità di confrontarsi direttamente con le aziende del
territorio, di acquisire informazioni utili circa le esigenze del mercato del
lavoro e di conoscere i percorsi da seguire per ottenere un riscontro alla propria ricerca.
L’iniziativa si svolgerà venerdì 15 maggio e sabato 16 maggio
in Via Pila 11, all’ex Dopolavoro, nei locali che ospitano il neonato Centro di
Protagonismo Giovanile.
Una giornata dell'evento, venerdì 15, sarà dedicata alle sole imprese locali; un
gruppo di esperti esporrà i cambiamenti intervenuti dopo l’approvazione del
Jobs Act e le nuove opportunità che ne sono scaturite. Verrano spiegati, inoltre, gli strumenti e i finanziamenti offerti alle imprese dal programma Garanzia Giovani.
Nella seconda giornata, invece, sono stati preparati una serie di
momenti formativi per coloro che sono alla ricerca di un posto di lavoro e stands
che permetteranno il confronto diretto tra i giovani e le aziende, che
raccoglieranno anche curriculum.
Insomma, un’ottima opportunità da sfruttare!
Di seguito i volantini
dell’evento, in cui potrete trovare gli orari delle singole iniziative e gli indirizzi per iscriversi e ottenere ulteriori informazioni.
“Nella terra degli uomini - dove suona la musica - e governa
la tecnica”, così Jovanotti canta nel brano “La terra degli uomini”.
Non c’è dubbio che grazie agli avanzamenti scientifici le
nostre condizioni di benessere siano cambiate in meglio; strano, d’altra parte,
che rimanga forte e diffuso in noi un senso di disorientamento, una insanabile
insoddisfazione.
La tecnologia, oggi, ci fa comunicare in tempo reale con chi
si trova dall’altra parte del mondo, ci consente di spostarci fisicamente in
diversi modi, così come permette il trasporto di merci e capitali in tempi
incredibilmente brevi. C’è, poi, una lunga serie di ausili accessori che
rendono la nostra quotidianità infinitamente più agevole rispetto ai nostri
antenati: dall’automobile ai condizionatori; dalle grande infrastrutture ai
computer nelle nostre case e nei luoghi di lavoro; dalla connessione Wi-Fi per
l’accesso alla Rete alla Tv a pagamento e via dicendo.
È difficile affermare che i benefici della tecnica siano
goduti in modo uguale da tutta l’umanità, ma rimane il fatto che le nostre vite
sono state sgravate da diversi pesi, alcuni dei quali molto faticosi da
affrontare ed è possibile, infine, registrare una tendenza, ovverosia l’espansione
di un modello sociale tecnocratico a tutto il globo.
Dovremmo rallegrarci di quello che sta accadendo, eppure,
negli anni 2000, giungono ancora le crisi, che fanno crescere la rabbia sociale,
la quale interpella a sua volta la politica.
La politica, però, si presenta come succube di poteri
impersonali come quello economico o quello mediatico, si presenta come il
prolungamento di elitè sempre meno individuabili e sempre meno espressione dei
popoli e dei loro bisogni.
Per il superamento della crisi, per esempio, la politica
ritiene sia sufficiente correggere alcuni parametri economici, che tutto
risiede nell’individuare le adeguate leggi contabili.
Non abbiamo forse assistito in questi anni al balletto dei
governi tecnici, dei consulenti, dei burocrati e dei commissari alla spending
review?
La politica è un’attività umana come altre, che ha un suo
compito specifico importantissimo e rispetto alla quale tutti gli uomini e le donne esprimono
un giudizio, anche coloro che si dichiarano indifferenti. È dunque dentro di
noi che vanno trovate le ragioni del declino del nostro tempo.
Ciò accade certo quando chi ricopre ruoli dirigenziali non
si assume le proprie responsabilità,ma
c’è anche un’altra ragione: la gran parte di noi continua a preferire la
scienza al Sapere, la parzialità alla Verità; gran parte di noi ha valutato la conoscenza
che presidia la comodità degli strumenti tecnologici migliore del sano
sacrificio che richiede la ricerca di sé stessi e la vita di relazione.
La conoscenza tecnica, infatti, ha per oggetto soltanto una
parte della realtà, una porzione delle
cose che va studiata in profondità, ma pur sempre isolandola dal resto. Una
sezione di realtà che deve essere analizzata per ricavare le applicazioni che
ci permettono di avere sempre più il dominio su una determinata parte di mondo.
Si tratta, allora, di un punto di vista circoscritto, dal
quale non possono che derivare soluzioni ipotetiche, precarie,
straordinariamente importanti per il progresso scientifico, per la ricerca e
per lo sviluppo, molto meno o per niente per il progresso culturale e dunque Politico.
Il metodo scientifico è diventato filosofia scientifica, in
base alla quale ci siamo convinti che grazie agli strumenti tecnologici la
nostra potenza sia diventata insuperabile, che sia possibile affrontare il
mondo da soli. Mai un’illusione è stata così bugiarda, così incapace di
descrivere la complessità e la magia dell’essere umano, che sa concepire l’Eterno.
Nella terra degli uomini può ancora suonare la Musica, perché, come
dice ancora Jovanotti nell’ultimo singolo trasmesso dalle radio, “ora che
siamo qui noi siamo gli Immortali”
Di seguito il video delle due canzoni e un brano tratto
da "La filosofia dai Greci al nostro tempo. La filosofia contemporanea” di Emanuele Severino, per chi volesse proseguire nella riflessione.
Eppure, eppure proprio quando il paradiso della scienza
potrà realizzarsi, si farà innanzi e diventerà incombente una privazione, tanto
più angosciosa quanto più essa tenderà a restare l'unica privazione della vita
dell'uomo.
Il paradiso della scienza è infatti fondato sulla logica
della scienza, cioè su una logica ipotetica, che ha rinunciato a presentarsi
come verità definitiva e incontrovertibile. Questo vuol dire che, per quanto
elevata e crescente, la felicità del paradiso della scienza è ipotetica, ossia
può presentarsi da un momento all'altro come illusoria, ed è inevitabilmente
accompagnata dalla consapevolezza di questa possibilità.
Ma un paradiso in cui è possibile chiedersi se esso non sia
un'illusione è un inferno. Quanto più si è felici, tanto più il terrore di
perdere la felicità rende infelici.
Nietzsche ha rilevato che, nella società moderna, le
migliori condizioni di vita e la sicurezza raggiunta riducono o eliminano
l'angoscia per l'imprevedibilità del divenire e danno il piacere
dell'imprevisto e dell'avventura. E si può pensare che questo fenomeno
raggiunga il culmine con le condizioni di vita rese possibili dal paradiso
della scienza e della tecnica... Si ama l'avventura e l'imprevisto se si è
sostanzialmente sicuri; ma non li si ama più quando la felicità è così alta da
crescere sempre e tuttavia ci si rende conto che la sicurezza del suo possesso
rimane nonostante tutto un'ipotesi e che quindi il paradiso può essere
improvvisamente perduto.
Il paradiso della scienza è inevitabilmente privo di
verità, perché la nostra cultura ha abbandonato da tempo la pretesa di
conoscere la verità. E l'ha dovuta abbandonare, perché la verità, come
evocazione degli immutabili, è stata “un rimedio peggiore del male”. Tuttavia,
una volta che l'uomo ha attraversato l'epoca che lo separa dal paradiso della
scienza - l'epoca in cui ha ancora senso il piacere dell'avventura e
dell'imprevisto, perché tale piacere può riuscire superiore al dolore del
naufragio -, l'imprevedibilità del divenire torna a farsi angosciosa, anzi
spinge al punto più alto dell'angoscia, perché ora ciò che il divenire può
tenere in serbo è il naufragio del paradiso. Anche il rimedio della scienza
fallisce.
È a questo punto che la filosofia potrà avere un futuro.
Fino a questo punto, la filosofia, come evento sociale, è
destinata a non mutare, ossia ad allargare e a rafforzare il suo carattere
presente, il suo compito di proteggere il divenire dalle incursioni e dai
ritorni della tradizione, rendendolo disponibile all'azione
scientifico-tecnologica.
Quando invece, con l'avvento del paradiso della scienza, ci
si renderà conto che il paradiso in cui si abita non ha verità, e l'angoscia
diventerà insopportabile, la filosofia potrà trovarsi di fronte a un bivio.
O si rivolgerà nuovamente alla verità della tradizione
epistemica occidentale, oppure, finalmente, incomincerà a mettere in questione lo
spazio, portato alla luce dal pensiero greco, in cui cresce l'intera storia
dell'occidente fino all'avvento del paradiso della scienza: lo spazio che è
comune sia all'evocazione degli immutabili, sia alla loro distruzione, sia al
paradiso della scienza – lo spazio costituito dalla fede nell'esistenza del
divenire.
Nel primo caso, si riaprirebbe il circolo che dal rimedio
epistemico conduce inevitabilmente al rimedio scientifico e al loro fallimento.
Nel secondo caso, la filosofia, come evento corale e voce
dei popoli, incomincerebbe a rendersi conto che la suprema “evidenza” del
divenire è appunto una fede, anzi la fede che tra tutte è stata la meno
discussa; incomincerebbe cioè a rendersi conto che lo spirito critico del
passato, del presente e del futuro della civiltà occidentale, discute tutto, ma
non discute l'essenziale, cioè la fede di fondo in cui l'Occidente si muove, la
fede che le cose escono dal niente e ritornano nel niente.
Per quanto sconcertanti possano apparire oggi queste
affermazioni, è però possibile sin d'ora comprendere che l'uomo va alla ricerca
del rimedio contro l'angoscia del divenire, perché innanzi tutto crede che il
divenire esista; e che quando si incomincia a mettere in questione questa fede
– a guardarla in faccia e a chiederle con quale autorità essa parla -,si incomincia a mettere in questione la
logica del rimedio.
Nemmeno per Nietzsche il superuomo sente il bisogno di un
rimedio e di un riparo contro il divenire. Ma quanto stiamo dicendo accenna a
un senso radicalmente diverso dal “superuomo”: ci si porta oltre l'uomo quando
ci si libera dalla fede del divenire, e quindi dall'angoscia che essa produce,
e quindi dal bisogno di costruire un riparo contro di essa.
Emanuele Severino da “La filosofia dai Greci al nostro
tempo. La filosofia contemporanea”