L'OTTAVO
VIZIO CAPITALE: L'INDIFFERENZA
Questo
capitolo della rubrica nasce dall'esigenza di ricordare una persona:
don Andrea Gallo.
Ormai
sono passati alcuni mesi dalla sua scomparsa, è indelebile però il
segno che ha lasciato.
Don
Gallo è stato l'esempio di una cultura cristiana veramente aderente
al Vangelo, fatto eccezionale nella nostra Italia.
La
gran parte delle istituzioni ecclesiastiche nostrane, infatti,
rivendicano quotidianamente le radici cattoliche della nostra storia, per poi schierarsi sempre dalla parte del potere e dell'ipocrisia.
È
per questo che la testimonianza del "Gallo" assume un
valore ancor più importante, il simbolo di un cambio di rotta
all'interno dell'istituzione religiosa, che, a mio giudizio, va
sostenuto non soltanto per cambiare la Chiesa, ma l'Italia.
Tra
i tanti messaggi che don Andrea ci ha lasciato c'è ne uno
particolarmente importante per il momento storico che viviamo:
l'indifferenza è un male tanto grave da poter essere definito un
vizio capitale.
L'ottavo
vizio capitale assieme a superbia (desiderio
irrefrenabile di essere superiori, fino al disprezzo di ordini,
leggi, rispetto altrui), avarizia (scarsa
disponibilità a spendere e a donare ciò che si
possiede), lussuria (desiderio
irrefrenabile del piacere sessuale fine a se
stesso), invidia (tristezza
per il bene altrui, percepito come male proprio), gola (meglio
conosciuta come ingordigia, abbandono ed esagerazione nei piaceri
della tavola, e non solo), ira (irrefrenabile
desiderio di vendicare violentemente un torto
subito), accidia (torpore
malinconico, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene).
L'indifferenza
non deve essere intesa soltanto come il mancato interesse per ciò
che è comune, l'assenza di partecipazione, ma anche come
l'incapacità di distinguere.
Quest'ultimo è per me il significato peggiore dell'indifferenza perchè porta a fare di tutta un'erba un fascio, a non capire che l'uguaglianza degli uomini sta nella loro diversità.
Quest'ultimo è per me il significato peggiore dell'indifferenza perchè porta a fare di tutta un'erba un fascio, a non capire che l'uguaglianza degli uomini sta nella loro diversità.
Riporto
due brani, il primo di Antonio
Gramsci e il secondo di Erri
De Luca.
Affrontano e approfondiscono questi due aspetti.
ODIO
GLI INDIFFERENTI
di
Antonio Gramsci
Odio
gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi
vive veramente non può non essere cittadino e partigiano.
L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è
vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza
è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente
nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò
su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che
rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza
l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti,
avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà,
lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare,
lascia salire al
potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra
l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da
alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa
ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità
a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un
enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale
rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi
sapeva e chi
non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni
piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno
o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se
avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò
che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono
partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare
l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo.
E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
INDIFFERENZA
tratto
dal libro "Alzaia" di Erri De Luca
Nel
mio vocabolario personale alla parola “indifferenza” ho scritto:
incapacità di distinguere le differenze.
Indifferenza
non è un infischiarsene del mondo, piuttosto un disturbo della
percezione per cui non si riesce a distinguere la differenza tra
realtà e messinscena. Si assiste da inerti a una violenza, a una
disgrazia perchè si crede di essere a una rappresentazione, gratis,
in cui si è tenuti ad agire da spettatori. E non s'è mai visto uno
del pubblico che salti in palcoscenico per impedire a Otello di
uccidere Desdemona. Chi si crede spettatore si gode lo spettacolo.
L'indifferenza
è un disturbo opposto a quello di Don Chisciotte che s'immischiava
di tutti i fatti e i guai degli altri. Anche lui distingueva male la
realtà, soffrendo però d'interventismo estremo. Irrompe anche in
uno spettacolo di marionette, facendo una strage di pupazzi,
credendoli nemici. Prende lo spettacolo per realtà e mai si contenta
d'essere spettatore. In ascolto dei notiziari televisivi bisognerebbe
sciacquarsi un po' gli occhi con il febbrile collirio di Don
Chisciotte. Sentirsi un po' meno spettatori, un po' meno membri di
una cavalleria errante e irritabile.
Uno
dei verbi di Elohìm nella creazione è “dividere/distinguere”.
“E distinse/divise Elohìm tra la luce e la tenebra” (1, 4), “e
ci fu distinzione/divisione tra acque e acque” (1, 6) e altri
ancora. La creazione procede per divisioni a due, per biforcazioni,
come il sangue dal cuore. Chi non sa distinguere inceppa il lavoro
della creazione che non si è esaurito nei sette giorni.
L'indifferenza è un torto contro il creato, non contro la società.
P.S. Ciao don Andrea, la tua testimonianza è nella nostra memoria e nelle nostre azioni future. Faremo come tu ci hai insegnato: così in terra come in cielo!