lunedì 11 maggio 2015

CAREER DAY: OCCUPARSI DI LAVORO A CASSANO D'ADDA

Un aspetto da migliorare per superare l’ormai annoso problema della disoccupazione è l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Di fronte ai dati preoccupanti e purtroppo stabili che emergono dagli studi dei centri di controllo, il Comune, soprattutto grazie all'impegno dell'Assessore ai Servizi Sociali e alle Politiche Giovanili, Arianna Moreschi, ha organizzato un evento, il career day lavoro, in cui i giovani avranno la possibilità di confrontarsi direttamente con le aziende del territorio, di acquisire informazioni utili circa le esigenze del mercato del lavoro e di conoscere i percorsi da seguire per ottenere un riscontro alla propria ricerca.
L’iniziativa si svolgerà venerdì 15 maggio e sabato 16 maggio in Via Pila 11, all’ex Dopolavoro, nei locali che ospitano il neonato Centro di Protagonismo Giovanile.
Una giornata dell'evento, venerdì 15, sarà dedicata alle sole imprese locali; un gruppo di esperti esporrà i cambiamenti intervenuti dopo l’approvazione del Jobs Act e le nuove opportunità che ne sono scaturite. Verrano spiegati, inoltre, gli strumenti e i finanziamenti offerti alle imprese dal programma Garanzia Giovani.
Nella seconda giornata, invece, sono stati preparati una serie di momenti formativi per coloro che sono alla ricerca di un posto di lavoro e stands che permetteranno il confronto diretto tra i giovani e le aziende, che raccoglieranno anche curriculum.
Insomma, un’ottima opportunità da sfruttare!


Di seguito i volantini dell’evento, in cui potrete trovare gli orari delle singole iniziative e gli indirizzi per iscriversi e ottenere ulteriori informazioni.





martedì 5 maggio 2015

PER UNA NUOVA COSCIENZA SOCIALE

Il regno degli uomini, dove governa la tecnica

“Nella terra degli uomini - dove suona la musica - e governa la tecnica”, così Jovanotti canta nel brano “La terra degli uomini”.
Non c’è dubbio che grazie agli avanzamenti scientifici le nostre condizioni di benessere siano cambiate in meglio; strano, d’altra parte, che rimanga forte e diffuso in noi un senso di disorientamento, una insanabile insoddisfazione.
La tecnologia, oggi, ci fa comunicare in tempo reale con chi si trova dall’altra parte del mondo, ci consente di spostarci fisicamente in diversi modi, così come permette il trasporto di merci e capitali in tempi incredibilmente brevi. C’è, poi, una lunga serie di ausili accessori che rendono la nostra quotidianità infinitamente più agevole rispetto ai nostri antenati: dall’automobile ai condizionatori; dalle grande infrastrutture ai computer nelle nostre case e nei luoghi di lavoro; dalla connessione Wi-Fi per l’accesso alla Rete alla Tv a pagamento e via dicendo.
È difficile affermare che i benefici della tecnica siano goduti in modo uguale da tutta l’umanità, ma rimane il fatto che le nostre vite sono state sgravate da diversi pesi, alcuni dei quali molto faticosi da affrontare ed è possibile, infine, registrare una tendenza, ovverosia l’espansione di un modello sociale tecnocratico a tutto il globo.
Dovremmo rallegrarci di quello che sta accadendo, eppure, negli anni 2000, giungono ancora le crisi, che fanno crescere la rabbia sociale, la quale interpella a sua volta la politica.
La politica, però, si presenta come succube di poteri impersonali come quello economico o quello mediatico, si presenta come il prolungamento di elitè sempre meno individuabili e sempre meno espressione dei popoli e dei loro bisogni.
Per il superamento della crisi, per esempio, la politica ritiene sia sufficiente correggere alcuni parametri economici, che tutto risiede nell’individuare le adeguate leggi contabili.
Non abbiamo forse assistito in questi anni al balletto dei governi tecnici, dei consulenti, dei burocrati e dei commissari alla spending review?
La politica è un’attività umana come altre, che ha un suo compito specifico importantissimo e rispetto alla quale tutti gli uomini e le donne esprimono un giudizio, anche coloro che si dichiarano indifferenti. È dunque dentro di noi che vanno trovate le ragioni del declino del nostro tempo.
Ciò accade certo quando chi ricopre ruoli dirigenziali non si assume le proprie responsabilità,  ma c’è anche un’altra ragione: la gran parte di noi continua a preferire la scienza al Sapere, la parzialità alla Verità; gran parte di noi ha valutato la conoscenza che presidia la comodità degli strumenti tecnologici migliore del sano sacrificio che richiede la ricerca di sé stessi e la vita di relazione.
La conoscenza tecnica, infatti, ha per oggetto soltanto una parte della realtà, una porzione  delle cose che va studiata in profondità, ma pur sempre isolandola dal resto. Una sezione di realtà che deve essere analizzata per ricavare le applicazioni che ci permettono di avere sempre più il dominio su una determinata parte di mondo. 
Si tratta, allora, di un punto di vista circoscritto, dal quale non possono che derivare soluzioni ipotetiche, precarie, straordinariamente importanti per il progresso scientifico, per la ricerca e per lo sviluppo, molto meno o per niente per il progresso culturale e dunque Politico.
Il metodo scientifico è diventato filosofia scientifica, in base alla quale ci siamo convinti che grazie agli strumenti tecnologici la nostra potenza sia diventata insuperabile, che sia possibile affrontare il mondo da soli. Mai un’illusione è stata così bugiarda, così incapace di descrivere la complessità e la magia dell’essere umano, che sa concepire l’Eterno. Nella terra degli uomini può ancora suonare la Musica, perché, come dice ancora Jovanotti nell’ultimo singolo trasmesso dalle radio, “ora che siamo qui noi siamo gli Immortali”
Di seguito il video delle due canzoni e un brano tratto da "La filosofia dai Greci al nostro tempo. La filosofia contemporanea” di Emanuele Severino, per chi volesse proseguire nella riflessione.




Eppure, eppure proprio quando il paradiso della scienza potrà realizzarsi, si farà innanzi e diventerà incombente una privazione, tanto più angosciosa quanto più essa tenderà a restare l'unica privazione della vita dell'uomo.
Il paradiso della scienza è infatti fondato sulla logica della scienza, cioè su una logica ipotetica, che ha rinunciato a presentarsi come verità definitiva e incontrovertibile. Questo vuol dire che, per quanto elevata e crescente, la felicità del paradiso della scienza è ipotetica, ossia può presentarsi da un momento all'altro come illusoria, ed è inevitabilmente accompagnata dalla consapevolezza di questa possibilità.
Ma un paradiso in cui è possibile chiedersi se esso non sia un'illusione è un inferno. Quanto più si è felici, tanto più il terrore di perdere la felicità rende infelici.
Nietzsche ha rilevato che, nella società moderna, le migliori condizioni di vita e la sicurezza raggiunta riducono o eliminano l'angoscia per l'imprevedibilità del divenire e danno il piacere dell'imprevisto e dell'avventura. E si può pensare che questo fenomeno raggiunga il culmine con le condizioni di vita rese possibili dal paradiso della scienza e della tecnica... Si ama l'avventura e l'imprevisto se si è sostanzialmente sicuri; ma non li si ama più quando la felicità è così alta da crescere sempre e tuttavia ci si rende conto che la sicurezza del suo possesso rimane nonostante tutto un'ipotesi e che quindi il paradiso può essere improvvisamente perduto.
Il paradiso della scienza è inevitabilmente privo di verità, perché la nostra cultura ha abbandonato da tempo la pretesa di conoscere la verità. E l'ha dovuta abbandonare, perché la verità, come evocazione degli immutabili, è stata “un rimedio peggiore del male”. Tuttavia, una volta che l'uomo ha attraversato l'epoca che lo separa dal paradiso della scienza - l'epoca in cui ha ancora senso il piacere dell'avventura e dell'imprevisto, perché tale piacere può riuscire superiore al dolore del naufragio -, l'imprevedibilità del divenire torna a farsi angosciosa, anzi spinge al punto più alto dell'angoscia, perché ora ciò che il divenire può tenere in serbo è il naufragio del paradiso. Anche il rimedio della scienza fallisce.
È a questo punto che la filosofia potrà avere un futuro.
Fino a questo punto, la filosofia, come evento sociale, è destinata a non mutare, ossia ad allargare e a rafforzare il suo carattere presente, il suo compito di proteggere il divenire dalle incursioni e dai ritorni della tradizione, rendendolo disponibile all'azione scientifico-tecnologica.
Quando invece, con l'avvento del paradiso della scienza, ci si renderà conto che il paradiso in cui si abita non ha verità, e l'angoscia diventerà insopportabile, la filosofia potrà trovarsi di fronte a un bivio.
O si rivolgerà nuovamente alla verità della tradizione epistemica occidentale, oppure, finalmente, incomincerà a mettere in questione lo spazio, portato alla luce dal pensiero greco, in cui cresce l'intera storia dell'occidente fino all'avvento del paradiso della scienza: lo spazio che è comune sia all'evocazione degli immutabili, sia alla loro distruzione, sia al paradiso della scienza – lo spazio costituito dalla fede nell'esistenza del divenire.
Nel primo caso, si riaprirebbe il circolo che dal rimedio epistemico conduce inevitabilmente al rimedio scientifico e al loro fallimento.
Nel secondo caso, la filosofia, come evento corale e voce dei popoli, incomincerebbe a rendersi conto che la suprema “evidenza” del divenire è appunto una fede, anzi la fede che tra tutte è stata la meno discussa; incomincerebbe cioè a rendersi conto che lo spirito critico del passato, del presente e del futuro della civiltà occidentale, discute tutto, ma non discute l'essenziale, cioè la fede di fondo in cui l'Occidente si muove, la fede che le cose escono dal niente e ritornano nel niente.
Per quanto sconcertanti possano apparire oggi queste affermazioni, è però possibile sin d'ora comprendere che l'uomo va alla ricerca del rimedio contro l'angoscia del divenire, perché innanzi tutto crede che il divenire esista; e che quando si incomincia a mettere in questione questa fede – a guardarla in faccia e a chiederle con quale autorità essa parla -,  si incomincia a mettere in questione la logica del rimedio.
Nemmeno per Nietzsche il superuomo sente il bisogno di un rimedio e di un riparo contro il divenire. Ma quanto stiamo dicendo accenna a un senso radicalmente diverso dal “superuomo”: ci si porta oltre l'uomo quando ci si libera dalla fede del divenire, e quindi dall'angoscia che essa produce, e quindi dal bisogno di costruire un riparo contro di essa.

Emanuele Severino da “La filosofia dai Greci al nostro tempo. La filosofia contemporanea”