Ai miei nonni

L'ITALIA SEMPLICE DELLA CAMPAGNA CHE DEVO RICORDARE

Come a molti capita ho ricevuto il nome del mio nonno paterno.
Nonno Luigi purtroppo l'ho vissuto poco, ma quanto basta per capire il significato della dignità.
Mercoledì scorso (5 ottobre 2011) se ne è andato anche Nonno Domenico. Senza far rumore, anche nell'ultimo atto. Penso che per quelli come lui chiedere aiuto nell'attimo finale sarebbe stato un insulto all'autonomia, alla libertà personale.
Li devo ricordare i miei nonni.
Questo scritto non vuole essere né un modo per elaborare il dolore, né l'ostentazione di fatti privati. La vita dei miei nonni, se guardata in profondità, ha poco di privato.
È uno scritto che nasce da una necessità, dall'esigenza di raccontare un mondo da cui quasi tutti proveniamo, ma che abbiamo deciso di dimenticare, direi addirittura ignorare.
Erano contadini i miei nonni. Contadini quando al padrone bisognava rivolgersi con il “Voi” e chiamarlo “Eccellenza”.
Mestiere scordato quello di lavorare la terra. Talmente trascurato che il pensiero dominante ha deciso di nasconderla la terra, di coprirla sotto strati di cemento e asfalto. Nasconderla in nome di una macchina lanciata ad alta velocità che si definisce modernità, adorata come un Dio, che però non produce frutto, anzi, sembra, nelle sue peggiori forme, distruggere tutto. Altro che progresso, passo in avanti.
Nonno Luigi è stato per molti anni un mezzadro. Per intenderci una forma evoluta di servitù della gleba. Metà del raccolto doveva essere consegnato al proprietario dei terreni. 

Nonno Luigi con mia sorella
Nonno Domenico invece era un affittuario. Pagava un contributo per poter coltivare. Ma i tempi richiedevano una riverenza tale verso i latifondisti che parte del colto finiva comunque nelle loro mani.

Nonno Domenico nella sua cascina
Mai possessori di nulla insomma, se non negli ultimi anni.
Nonostante non fosse loro però, la terra era sacra, un valore inestimabile.
Non era loro, ma rimaneva un dono di Dio. In una società che sbanda di fronte alla minima difficoltà, ettari interi di appezzamenti non li preoccupavano perchè governare quell'impasto di polvere era l'unica cosa che avevano veramente e sapevano che sapeva ricambiare. Se tutelata e curata, anche di fronte alle intemperie, dava qualcosa in cambio, soprattutto al cuore.
La campagna è stata la vera casa dei miei nonni. Facevano parte di un'Italia silenziosa e operosa che rientrava la sera con i panni sporchi e sudati, comunque felice.
Gandhi diceva che “I valori più alti non si acquistano soltanto con la ragione, ma si conquistano con la sofferenza”. Luigi e Domenico ne hanno fatti tanti di sacrifici, troppi. Quanti valori mi hanno trasmesso però.
Avevano un rispetto per l'uomo che faccio fatica a spiegare con parole mie.
Mi servo di un aneddoto. Nonno Domenico ha accolto tutti nella sua masseria, senza fare distinzioni. Ha offerto sempre il salame più buono perchè l'ospite andava trattato come un fratello. Una volta una delle mie zie si permise di togliere il piatto da tavola a un commensale. Voleva iniziare a lavare i piatti, portarsi avanti con il lavoro. Niente di offensivo per molti. Non per nonno che si limitò inizialmente a un'occhiataccia per poi passare a un richiamo rimasto indelebile nella memoria di zia. Utilizzò una frase ormai celebre nella mia famiglia: “Io ti mando a scuola eppure sei rimasta ignorante!”.
Ci credevano tantissimo nell'istruzione i miei nonni. Erano tra quelli che hanno sognato per tutta la loro esistenza di poter dedicare tempo a un libro. Hanno sognato così tanto che la fantasia si è fatta realtà. Decenni dopo c'è chi ha ottenuto il diritto allo studio. Credo che abbiano fatto più loro con la loro scelta di sacrificare molto pur di mandare a scuola i figli che i movimenti del '68.
Li ringrazio ogni giorno. È per merito delle loro fatiche quotidiane che si è creato quello spazio di libertà che permette a me e a tanti altri giovani di gustarsi la pace delle biblioteche universitarie. È per merito loro che si è creato il tempo per riflettere, pensare. Come lo usiamo male.
Nonno Domenico nei campi
Troppi sacrifici dicevo.  La cultura del lavoro stava in ogni loro gesto, nelle loro rughe, nelle loro mani segnate, ma forti, fortissime, come il loro spirito.

Nonno Luigi al lavoro
Bastava guardarle quelle mani, non mi sono mai serviti trattati di matrice marxista per capire il valore del lavoro.
Me lo hanno trasmesso due uomini del Sud le cui scarpe rotte e piene di fango sarebbero bastate per distruggere lo stereotipo del Meridione sprecone, sfaticato e parassita.
Sud che secondo il luogo comune è anche corrotto. Beh, non ho mai conosciuto persone così integre moralmente.
I miei nonni appartenevano all'Italia gentile, disponibile e generosa con il prossimo, attualmente tramortita dall'egoismo del Consumo.
Mi hanno insegnato che la coscienza pulita vale molto più di tante esteriorità e apparenze.
Mio papà è un sottufficiale della Guardia di Finanza e quando scoppiò lo scandalo di Tangentopoli da 900 km di distanza arrivò al telefono la voce intransigente di Nonno Luigi: “Michelina (mia madre), pane e cipolla per Bernardino (mio padre). Pane e cipolla!”. Eh sì, perchè per loro perdere la faccia era peggio che contrarre debiti.
Sono due pezzi di storia i miei nonni. Due pezzi di storia italiana che ha vissuto la guerra, subito i rapporti di forza del tempo, ma che non ha mai perso l'umanità, che non si è mai stancata di dare amore a figli e nipoti.
Anche l'idea politica non era mai fonte di litigio. Nonno Domenico votava il Partito Comunista, Nonno Luigi la Democrazia Cristiana.
L'idea diversa era solo motivo di confronto. Come era bello sentirli parlare insieme di politica. A volte capitava che si finisse nello sfottò. Nulla a che vedere con la volgarità di oggi. Roba da stadio più che da agorà.
Le diverse posizioni non avrebbero mai potuto intaccare la stima reciproca, il rispetto tra due uomini che sapevano di essere figli dello stesso destino: quello della zappa e della fatica che richiede.
Avrebbero qualcosa da insegnare a chi oggi usa la diversità per denigrare, infangare, diffamare.
Mi piace ricordarli a tavola con il loro bicchiere di vino oppure concentrati a giocare a carte. Sorridenti con poco. 
Il sorriso di Nonno Domenico

Il loro sorriso è ciò che mi ha salvato da una concezione del divertimento come sballo, da una cultura che crede che la libertà sia la somma delle possibilità e che si dispera se non riesce a coglierle. I nonni mi hanno insegnato che l'occasione si presenta facendo il proprio dovere e che la libertà, come dice Erri De Luca, "non è un elenco  di comodità e diritti, ma azzardo di inoltrarsi in territorio vuoto" e "chiede una disciplina adatta allo sbaraglio".
Ai giorni nostri si cerca disperatamente lo straordinario, l'eccezionale, mai l'ordinario. Quando penso alla normalità mi vengono immediatamente in mente loro, i miei nonni. Luigi e Domenico.
La giustizia che manca, l'esempio di onestà che tutti avrebbero il diritto di avere.
Nonno Luigi e i suoi pomodori
La vostra vita ha lasciato un solco bello come quelli di pomodori a cui avete dedicato una esistenza intera.

Vi Voglio Bene!