Per una nuova coscienza sociale

Sommario

1- INTRODUZIONE

2- IL PENSIERO DI PAOLO BARNARD

3- Siamo sicuri che il debito pubblico è un problema?

4- Il valore dello studio

5- "SCRITTI CORSARI": LA MISURA DEL DISSENSO


6- Prima di tutto la realtà


7- IL RUOLO DELLA POLITICA


8 - L'OTTAVO VIZIO CAPITALE: L'INDIFFERENZA


9 - IL REGNO DEGLI UOMINI, DOVE GOVERNA LA TECNICA

10 - DISEDUCATIVO


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1- INTRODUZIONE

La crisi abbraccia ogni aspetto sociale.
Le ripercussioni economiche sono solo ciò che è immediatamente evidente in superficie.
Confinare l'emergenza che stiamo vivendo nell'ambito dell'economia è errore molto grave.
Eppure questo è il tentativo costante delle forze reazionarie, che hanno l'intento preciso di soffocare il pensiero al fine di mantenere inalterata la situazione.
Ciò che sostengo ritengo sia ben dimostrato dalla realtà dei fatti.
Per quanto la parola liberalizzazioni sia la più utilizzata di questo periodo, per coloro che esercitano la pratica conservatrice le posizioni di privilegio e monopolio rimangono saldissime.
Voglio subito chiarire che non sono tra quelli che vanno cercando il colpevole, nostalgico di un passato fatto di contrapposizioni ideologiche asprissime. Non sto puntando il dito contro il mondo dell'impresa, contro l'apparato statale,  verso le banche o qualsiasi altro bersaglio da mettere nella categoria del nemico per semplificare la realtà.
Sono banalmente una persona che vive il suo tempo,  che cerca di capire e agire di conseguenza, per non subire passivamente il corso della storia.
Sono una persona che considera ormai insopportabile l'atteggiamento di chi, immobile, pensa che la soluzione sia proteggere il recinto dei propri interessi materiali. 

Egoista nel momento in cui tutto è da mettere in discussione.
La chiusura di cui parlo è quella che, da noi, riesce ad avanzare come massima proposta per la riforma dell'esistente l'abrogazione dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, a dimostrazione che niente vuole essere concesso.
Faccio questo esempio perchè emblematico.
Stiamo parlando di una semplice regola di civiltà, che chiede al datore di lavoro la giustificazione della sua decisione di licenziamento.
Ma da chi riesce a esprimere come massimo sentimento la pigrizia, il massimo che ci si poteva aspettare era la solita prova di forza verso il lavoro, l'idiota forzatura atta a peggiorare la condizione della parte già debole. E non vi aspettate opposizioni intransigenti da parte della sinistra, quella istituzionale è nella cerchia dei pigri da tempo immemore ormai.
Dunque soluzioni pigre, parziali. Perchè volte a distruggere tutele, perchè frutto di un pensiero che non riesce ad andare oltre il proprio ego.
Risultato finale: cancellazione del passato e paura del futuro.
Riprendendo le fila del discorso dunque il rimedio non può essere limitato, ma totale. Richiedente perciò un pensiero ampio, capace di respirare a pieni polmoni.
I filosofi d'altronde insegnano che la Verità va cercata in relazione al Tutto.
Ecco quindi l'idea della rubrica “Per una nuova coscienza sociale”, un piccolo spazio su questo blog dedicato a saggi che riflettono in modo globale sul sistema politico-economico che continua a schiacciare menti, corpi e cuori. Saggi per cercare una visione unitaria tale da aprire la strada del rilancio. 

Saggi per ripensare la forma sociale esistente fondata sul  nesso materialistico merce-denaro.
Il primo è uno scritto riportato dal sito exit-online.org, pagina internet dell'omonima rivista tedesca di teoria sociale.
Mi è stato consigliato da un amico, Samuele Cerea, che si è occupato della sua presentazione.
Non resta che augurarvi buona lettura, o meglio buon pensiero.

PRIMO SAGGIO

Autore Robert Kurz

LA TERZA FORZA. La fine e l'inizio della neutralità


PRESENTAZIONE DELL'AUTORE


di Samuele Cerea


Al carattere piuttosto sterile e mediatico della contestazione globale fa da contrappunto la modestia della teoria critica sociale. Dopo il 1989 la sinistra politica, sia essa socialdemocratica o «marxista», si è largamente riappacificata con il liberalismo di mercato oppure è regredita verso un pensiero eclettico, sociologistico, del tutto acritico nei confronti della forma sociale, non di rado espresso in un gergo mistificante postmoderno. Ne fa parte il bricolage intellettuale di una critica irrelata, che invece di analizzare la società nel suo compimento si lancia in barocchismi in cui Lenin si coniuga con Lacan e per cui l’analisi delle pulsioni autodistruttive sociali passa attraverso l’esegesi di un’opera di Majakovskj o di un film di Lars von Trier.
Esistono anche le eccezioni e naturalmente una di queste si chiama Robert Kurz. Figura a dir poco singolare e controversa nel panorama intellettuale non solo tedesco, a partire dagli anni Novanta questo «marxista apocalittico», come amano chiamarlo alcuni dei suoi detrattori, si è conquistato, nonostante la sconcertante radicalità delle sue tesi, uno spazio pubblicistico impensabile in particolare su giornali e periodici tedeschi (Neues Deutschland, Freitag etc.) e sudamericani (per anni ha scritto regolarmente su Folha di San Paolo). Formatosi nel periodo della contestazione degli anni Sessanta, Kurz non si è rassegnato all’involuzione settaria e politicistica della «Neue Linke» degli anni Settanta, iniziando un fruttuosissimo percorso di revisione radicale del pensiero di Marx.
Dopo una «fase catacombale» iniziata nel 1986 con la fondazione della rivista teorica Marxistische Kritik (divenuta a partire dal 1991 Krisis), il successo del saggio Der Kollaps der Modernisierung (Il collasso della modernizzazione,1991) ha permesso alle teorie di Kurz di conquistarsi gradualmente un certo spazio nel dibattito della sinistra tedesca. Nel 2004 in seguito a un violento dissidio esploso in seno alla redazione di Krisis, Kurz e alcuni suoi stretti collaboratori sono stati di fatto «epurati» dalla rivista. La fondazione della nuova rivista Exit! marca una nuova fase nell’evoluzione del pensiero di Kurz dopo l’iconoclastia marxista del primo decennio, in cui diviene centrale la critica dell’ideologia illuministica (già iniziata negli ultimi numeri di Krisis) e soprattutto della soggettività moderna e della sua ragione astorica.
La radicalità delle tesi di Kurz consiste nel fatto che la sua critica sociale è una critica fondamentale, categoriale, una critica del funzionamento della società capitalistica moderna che prende di mira le categorie su cui essa si fonda («valore», «lavoro», «denaro», «Stato», «democrazia», «politica», etc.) e si pone quindi agli antipodi di tutte le pseudo-critiche che rimproverano il capitalismo di non essere più all’altezza di se stesso, cioè di non essere più in grado di creare sviluppo, posti di lavoro, sistemi di previdenza sociale adeguati etc (buona parte dei sindacati) oppure accusano qualche suo elemento (le banche, la finanza, la «speculazione») di avere messo a soqquadro il sistema per avidità di denaro (critica demagogica assai diffusa tra politici, intellettuali, persino economisti, fino ai movimenti Occupy e «indignati» e all’estrema destra radicale) o infine vorrebbero una forma di capitalismo light moderato ed «ecologicamente sostenibile».
Già in Kollaps Kurz aveva avanzato la tesi, per l’epoca audacissima, per cui il naufragio dei socialismi di Stato dell’Est non andava interpretato come il crollo inevitabile di quelle economie dirigiste che si erano illuse di poter soppiantare i meccanismi di mercato, ma come una tappa nella crisi della forma sociale moderna, fondata sulle categorie apparentemente astoriche della merce, del valore e del lavoro; crisi che oggi trova il suo esito definitivo nell’agonia delle economie capitalistiche dell’Occidente avanzato. In Schwarzbuch Kapitalismus (Il libro nero del capitalismo), un ampio excursus sulla storia della modernità capitalistica, Kurz denuncia tra l’altro il carattere ideologico dell’autolegittimazione capitalistica: lungi dal rappresentare la soluzione finalmente trovata ai problemi della socializzazione umana, l’avvento della modernità è stato un processo storico concreto, affermatosi a spese di tutti i modi di vita tradizionali precedenti, generalmente con metodi brutali, a prezzo del sacrificio di molte generazioni e i cui «benefici» furono inizialmente e per lungo tempo ristretti a un’esigua élite. Solo in seguito, durante l’epoca fordista, la massificazione del consumo e la costruzione dello Stato sociale (comunque sia limitata all’Europa, al Nordamerica, al Giappone e a pochi altri paesi) riuscirono a far dimenticare almeno in parte i «costi umani» che avevano sempre caratterizzato la sua esistenza, creando così una sorta di legittimazione a posteriori storicamente e logicamente inaccettabile. Adesso però con l’incremento della produttività dovuto all’implementazione tecnologica della produzione capitalistica viene messa definitivamente in crisi la fisiologia stessa del sistema cioè la produzione di valore e così dalla prosperità del fordismo stiamo scivolando più o meno gradualmente in una nuova epoca di miseria sociale e sovvertimenti su vasta scala.
Weltordnungskrieg (La guerra dell’ordine mondiale) e Das Weltkapital (Il capitale mondiale) affrontano da due versanti differenti il problema della globalizzazione, tanto ossessivamente tematizzato dalla pubblicistica, quanto fondamentalmente incompreso. Le «guerre dell’ordine mondiale» degli anni Novanta e Duemila (Irak I e II, Jugoslavia, Afghanistan etc.), diversamente da quanto affermato da ampi settori della sinistra, non sono semplicemente l’espressione di meri interessi materialistici in termini di risorse e di sfere di influenza, un riassetto geopolitico globale operato da potenze imperialistiche nel vecchio senso del termine (in primis gli USA) desiderose di completare il trionfo economico dell’economia di mercato, con il controllo politico delle regioni chiave del globo, quanto piuttosto la forma necessaria che assumono le relazioni globali nel contesto della globalizzazione capitalistica stessa. La crisi della statalità, causata dalla vittoria dell’economia della merce, genera il collasso di interi paesi e macroregioni che a sua volta finisce col mettere in crisi, esteriormente, i processi concreti della valorizzazione capitalistica e che richiede l’intervento dell’ultima superpotenza globale e di suoi partner per garantire le condizioni di sopravvivenza del capitalismo globale. Das Weltkapital dimostra come la globalizzazione economica deriva dall’assoluta necessità da parte delle imprese di ridurre i propri costi aziendali mediante strategie di outsourcing e di delocalizzazione a discapito dell’accumulazione di valore complessiva mentre l’assurda economia dell’indebitamento, delle bolle finanziarie, degli strumenti derivati, oggi tanto deprecata, non rappresenta affatto una patologia del sistema ma l’ultima possibilità di mantenere in vita, seppure in una forma simulata, i nessi sociali che si fondano sul valore, sullo scambio di merce, sul denaro, sui «posti di lavoro» etc. Di conseguenza ogni reazione ideologica che si limiti a criticare la sfera della circolazione (la finanza, le banche), senza riconoscere allo stesso tempo l’esaurimento della dinamica della cosiddetta «economia reale» non può che girare a vuoto o peggio spingere alla ricerca di qualche capro espiatorio (l’idea dell’evasore fiscale o dello speculatore come «parassita»).
Una lettura attenta delle idee di Kurz non può che giovare a persone «che vogliano imparare qualcosa di nuovo e dunque pensare da sé», che non si accontentano di pantomime mediatiche e di una critica sociale tradizionale ormai da tempo alle corde.  


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2- IL PENSIERO DI PAOLO BARNARD

Da qualche settimana i media hanno cominciato a ventilare l'ipotesi di aiuti economici anche per l'Italia. 
Dopo la Spagna toccherebbe a noi.
Non c'è modo dunque di fermare il domino della crisi. Neanche i super competenti, i professori, a quanto pare ne sono capaci.
Una domanda. Anzi due. Ma qualcuno di voi ha capito qual è il problema che sta alla base del rischio fallimento? Voglio dire, se dobbiamo morire, abbiamo almeno il diritto di sapere in cosa consiste questa malattia economico-finanziaria che sembra stia per sgretolare il processo di integrazione europea?
Continuano ogni giorno a dirci che la situazione è delicatissima. Ormai si tratta di un ritornello ansiogeno. Nessuna fonte mediatica però ci spiega in termini semplici e comprensibili l'origine delle difficoltà che viviamo.
La verità è che non ce lo vogliono spiegare e non sperate che se ne incarichino i personaggi dell'antisistema, purtroppo anche loro sono stati travolti da uno schema che ripete le stesse strutture di ciò che denunciano.
PAOLO BARNARD è un autore che sto approfondendo da poco, un ottima fonte per capire la questione economica che ci attanaglia e gli effetti devastanti di quella che lui chiama la “Cultura della Visibilità” (come al solito non ci si può fermare all'economia).
Una cultura, quella della visibilità, di cui fanno parte i paladini a cui noi affidiamo, purtroppo troppo facilmente, le nostre speranze di riscatto, riproducendo in altre forme il modello della delega, quando invece dovremmo essere noi, la nostra persona, il centro della storia.
Una storia che deve svilupparsi in orizzontale, mai in verticale.
Buona lettura e buon pensiero.




E gli umili erediteranno...

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 3- Siamo sicuri che il debito pubblico è un problema?

Ci dicono ormai ogni giorno che il debito pubblico va contenuto, va ridotto.
Ci dicono che sono necessari tagli ai servizi pubblici essenziali e sacrifici, di reddito e di diritti.
Siamo sicuri che non sia un finto problema? 
C'è chi la pensa proprio così, cioè che siamo vittime di un grande inganno. 
C'è chi per fortuna non si dimentica la funzione sociale dell'economia.

TEORIA MONETARIA MODERNA


democraziammt.info

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4- Il valore dello studio

"Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza."


Antonio Gramsci


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"SCRITTI CORSARI": LA MISURA DEL DISSENSO 

"Senza senso comune e concretezza la razionalità è fanatismo"

Pier Paolo Pasolini

Nel presentare alcune "Pagine corsare" di Pier Paolo Pasolini non mi sento di dare alcuna spiegazione complessa, nonostante i numerosi temi che vengono affrontati in esse.
Dico soltanto questo. Pasolini è stato un intellettuale lungimirante perchè calato fino in fondo nella realtà, un uomo che sognava veramente, ma senza dimenticarsi che la vita richiede innanzitutto senso pratico. L'autentica conoscenza.


dal "Corriere della sera" col titolo "Contro i capelli lunghi" 


dal "Corriere della sera" col titolo "Il folle slogan dei jeans Jesus" 


dal "Corriere della sera" col titolo "Sfida ai dirigenti della televisione"


dal "Corriere della sera" col titolo "Il Potere senza volto"

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6- Prima di tutto la realtà


Prima di tutto la realtà

Nella società della fiction, dei media, dello spettacolo e, più in generale, dell'immagine, la grande sconfitta è la realtà.
L'atteggiamento comune è quello di fingere di non conoscere le nostre condizioni sociali e di rifiutare i fatti nella loro oggettività.
Più comodo somigliare a qualcosa che non siamo o pendere dalle labbra di chi offre opinioni confortevoli, intrappolate nello stretto schema entro cui abbiamo deciso di condurre la nostra esistenza.
C'è un piccolo problema però: la verità viene sempre a galla e lo fa con tutta la sua forza travolgente.
C'è chi ha provato a negare la crisi ed ora siamo in estremo ritardo per prendere le contromisure.
Credevamo di sognare e invece eravamo storditi dalle illusioni.
Sogno e illusione hanno questa differenza: a fondamento del primo c'è la struttura delle cose, della seconda il vuoto.
Quindi prima di tutto la realtà. È un principio tra quelli della vita dell'uomo che merita una difesa agguerrita.
Sono molti gli autori che si sono espressi al riguardo. Ne cito soltanto alcuni.
Prima delle loro parole pubblico anche un recente e lucido scritto di Oliviero Beha. Parla della situazione politica italiana attuale.
Parla di come si continui a concentrarsi sui temi sbagliati.
Per uscire dalle macerie serve sapere che le macerie esistono.




Ciò che si vive esistenzialmente è sempre enormemente più avanzato di ciò che si vive consapevolmente.

Pier Paolo Pasolini

L'uomo vivente non può in alcun caso evitare di essere incalzato da tutte le parti da una necessità assolutamente inflessibile; ma, poiché pensa, ha la facoltà di scegliere tra cedere ciecamente al pungolo con il quale essa lo incalza dal di fuori, oppure conformarsi alla raffigurazione interiore che egli se ne forgia; e in questo consiste l'opposizione tra servitù e libertà.

Simone Weil da “Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale”


… l'autonomia morale non è la capacità di inventare le proprie leggi, ma quella di riconoscerle giuste o no... ogni libertà presuppone la disciplina della norma, ma la libertà, ignota al resto del mondo animale, che ci costituisce persone poggia su risposte affettivamente, cognitivamente e praticamente adeguate alla realtà che ci sostiene. La relazione alla verità è fondante prima di essere cosciente.

Roberta De Monticelli da “La questione morale”


L'arte suprema consiste nel far apparire facile quello che inizialmente era difficile. Per ogni arte di vivere, così come per ogni arte in generale, risulta fondamentale scegliere di imboccare il cammino che essa dischiude. Il sé si muove come il pittore, che ha inizialmente un'immagine nel suo occhio interiore e poi ci lavora, dedicandosi alacremente a definirne i dettagli e tornando sempre di nuovo sui suoi passi per osservare a distanza il risultato complessivo della sua opera. Anche la vita futura è una visione, un sogno, una possibilità sognata, o forse anche solo il presentimento di un'idea, di un incontro, di un sentiero da percorrere, di una vita diversa. Il passaggio dal presentimento indeterminato alla forma determinata, dall'”in quel modo” al “ così e non in maniera diversa”, da “qualcosa” al “questo e non quest'altro” - ecco la via che porta dalla possibilità alla realtà.
Essa consiste in una serie di azioni concrete, di singoli passi simili a singole pennellate, che non devono essere concepiti a priori in tutti i loro particolari e, dunque, non hanno bisogno di una preparazione. Si deve piuttosto creare lo spazio dove lavorare; si deve disporre del tempo necessario a raggiungere lo scopo, attraverso una molteplicità di situazioni. Solo nel corso del lavoro diviene possibile acquisire l'abilità per dare forma all'opera, avvalendosi dell'esperienza che deriva dalla conoscenza della cosa, dell'abitutide progressiva alle sfide che si presentano; esercitandosi a effettuare mosse che ricorrono di continuo. L'abilità non rappresenta il frutto di un dovere costrittivo, ma un surplus rispetto alla costrizione. Si tratta di una piena realizzazione nel senso dell'eccellenza. Ogni aspirazione dell'eccellenza è arte... Per una valutazione delle varie situazioni che si presentano, degli altri e di tutta la vita nel mondo, il sé ha bisogno dei sensi, ma anche di una sensibilità che abbia a che vedere con le strutture. È vero ogni informazione deve essere tratta dai sensi. Ma è anche necessario un impegno teoretico per individuarne le strutture, che non possono essere colte dai sensi e che, tuttavia, costituiscono i veri e propri tratti fondamentali della realtà, tanto di quella esteriore del mondo quanto di quella interiore del sé. Una conoscenza dettagliata delle strutture della realtà data è necessaria per poter scegliere sensatamente una possibilità e per svolgere il lavoro necessario a tradurla in realtà. La vera attenzione e l'accortezza nei confronti della realtà esistente non mirano ad adattarvisi, ma a conoscerla al meglio per poter centrare la realizzazione aspirata.

L'amicizia per se stessi. Cura di sé e arte di vivere. 
Wilhelm Schmid


“... nella produzione sociale della loro esistenza gli uomini vengono a trovarsi in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà... Il modo di produzione della vita materiale è ciò che condiziona il processo sociale, politico e spirituale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma, al contrario, è il loro essere sociale che determina la loro coscienza.”

                    Karl Marx da “Per la critca dell'economia politica”


l'antefatto e condizione di un'idea è che prenda bene
sul terreno del reale
riback to my brain

quello che io faccio

non è mai abbastanza simile a quello che farei



...'e bbattaglie vanno fatte


pe risolvere i problemi materiali della vita

e so' bbattaglie sporche 'e mmerda

'e bbattaglie pulite

stanno sulo rint'â capa 'e chi stà sempe c' 'o culo aparato

    99 posse “Nell'era della confusione” dall'album “Corto Circuito” 

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7- IL RUOLO DELLA POLITICA

Prima di tutto la realtà si è detto nel capitolo precedente a questo.
Tra le macerie culturali e morali di una nazione dire che la politica sta soffocando non descrive bene la situazione.
La politica è la conquista che segue alla maturità di un popolo. È la scelta dell'Idea, del Progetto, non la difesa di interessi particolari o materiali.
Lo scenario postelettorale dice appunto della distanza abissale dell'Italia dall'età adulta.
L'atteggiamento prevalente, di chi oggi vuole incarnare la politica, è la difesa del proprio campo.
Niente aperture e niente rispetto, né dell'avversario politico, né delle istituzioni.
Meglio denunciare il marcio e la sporcizia altrui.
Ieri sera mi è stato di grande aiuto leggere il discorso attraverso il quale Franklin D. Roosevelt spiegò agli Americani il New Deal: la politica di finanziamenti pubblici per superare la crisi economica e sociale (come si è detto più volte in questa rubrica, i vari aspetti della realtà non sono mai disuniti). Stiamo parlando della crisi del '29, un vero e proprio incubo.
Lo pubblico qui di seguito, è una lettura veramente piacevole.
Il Presidente americano usava parole come “pianificazione”, “controllo”, e ciò in maniera affatto ideologica. Nel lato orientale del mondo, di lì a poco, le stesse parole significarono l'invasione della macchina statale nella sfera dell'individuo.
Oltre ad essere una soluzione, in parte ancora oggi praticabile, il New Deal, invece, segnò il ritorno dello Stato, riaffermò la presenza dello Stato rispetto a una società dove aveva stravinto l'arbitrio dei singoli. Riaffermò lo Stato come collettività di persone che si riconoscono in un'idea capace di delineare un destino comune.
Solo la politica può svolgere questo compito. 
È questo il messaggio di fondo da trarre dal discorso.
La politica deve svolgere il suo ruolo, deve fare da guida, deve offrire la visione d'insieme.
Fare da guida prendendo posizione, senza pensare però che la propria idea sia la verità.
Roosvelt si rivolge con grande rispetto alle istituzioni, notare bene come parla del Congresso, come non confini la crisi ai soli Stati Uniti d'America.
Ciò nonostante il momento che vive il suo paese.
Se vi va, leggetevi anche l'intervista di Ascanio Celestini rilascita al “Il Fatto Quotidiano”, il link è subito dopo le parole di Roosevelt, giusto per approfondire i temi del “destino comune” della “mancanza di rispetto” e del “prima di tutto la realtà”.



"Una domenica, dopo una settimana dal mio insediamento, mi sono servito della radio per informarvi della crisi bancaria e delle misure che stavamo studiando per affrontarla. Sono convinto, in quel modo, di aver chiarito alla nazione-diversi fatti che altrimenti potevano essere fraintesi, e in generale di aver fornito i mezzi per comprendere la situazione e riguadagnare la fiducia perduta. 




Questa sera, a otto settimane di distanza, mi presento a voi per la seconda volta, per aggiornarvi sullo stato delle cose con lo stesso spirito e attraverso gli stessi mezzi, per spiegarvi ciò che è stato fatto e quello che progettiamo di fare. Due mesi fa stavamo affrontando problemi serissimi. L'intero paese moriva giorno dopo giorno. Moriva perché il commercio e gli affari erano scesi a un punto pericolosamente basso; i prezzi per i beni di prima necessità erano così alti da mettere a repentaglio l'equilibrio di istituzioni nazionali come le banche, le casse di risparmio, le compagnie assicurative e molti altri. Queste istituzioni, proprio a causa di questa crisi, tagliavano i mutui, reclamavano i prestiti, rifiutavano di fare credito. Per questo motivo, era iniziato il processo di distruzione della proprietà di milioni di persone che avevano chiesto denaro in prestito, dollari che nel marzo del 1933 avevano tutto un altro valore di scambio. Quella situazione contingente non richiedeva nessuna considerazione di panacee economiche né piani fantasiosi. Eravamo di fronte a una situazione reale, non a teorie. Due sole erano le alternative possibili: la prima era permettere il proseguimento della conclusione anticipata delle ipoteche, il ritiro dei crediti e la tesaurizzazione del denaro, facilitando così la chiusura e la bancarotta delle banche, delle compagnie ferroviarie ed assicurative, e una ricapitalizzazione di tutti gli affari e di tutte le proprietà a partire da un livello più basso. Questa alternativa significava proseguire sulla strada di quella che viene comunemente definita «deflazione», il cui risultato su larga scala si sarebbe delineato in sacrifici tremendi per i proprietari e, di rimbalzo, in sacrifici tremendi per tutti i lavoratori a salario attraverso un inasprimento della disoccupazione e nella successiva riduzione del potere d'acquisto. Ciò è sufficiente per comprendere che l'esito di una soluzione simile avrebbe avuto non solo effetti economici molto seri, ma anche un impatto sulla ,società che avrebbe portato con se danni incalcolabili. Ancora prima che venissi eletto, ero arrivato alla conclusione che una politica di questo genere era un prezzo troppo alto da chiedere al popolo americano. Non solo avrebbe comportato l'ulteriore perdita di case, fattorie, risparmi e salari, ma anche una perdita di valori - come la sicurezza verso il presente e nei confronti del futuro, tanto necessaria al conseguimento della pace e al benessere del singolo individuo e della sua famiglia. Quando si distruggono queste certezze, ci si rende conto di quanto sia difficile nutrire speranza per qualsiasi tipo di futuro. Era chiaro che semplici appelli da Washington, e maggiori prestiti offerti ad istituzioni fatiscenti non erano sufficienti affermare questa corsa verso il basso. Un programma immediato e messo in pratica con la massima rapidità mi è sembrato una scelta non solo giustificata, ma un imperativo per la sicurezza della nazione. Il Congresso, e quando dico Congresso intendo entrambi i partiti che lo formano; ha compreso pienamente la situazione e mi ha fornito un aiuto generoso e intelligente. I membri del Congresso hanno capito che i metodi usati in periodi di stabilità andavano rimpiazzati, nei periodi di emergenza,con misure corrispondenti alla gravità e alla serietà del momento. Questo è avvenuto senza nessuna cèssione di poteri, il Congresso detiene ancora l'autorità costituzionale e nessuno ha la ben che minima intenzione di modificare l'assetto di questi poteri. La funzione del Congresso è di decidere ciò che è giusto fare, e di scegliere l'organo più appropriato per svolgere le sue volontà. Ciò è stato rispettato alla lettera. L'unica cosa che è successa è stato designare il presidente come l'organo incaricato di portare a termine alcuni degli obiettivi designati dal Congresso. Tutto questo è assolutamente costituzionale, nella scia della tradizione americana. Le leggi approvate o in corso di approvazione possono pertanto essere considerate parte di un piano con solide basi.

Innanzi tutto, daremo un lavoro a un quarto di milione di disoccupati, soprattutto giovani con persone a carico, da essere destinati alla protezione forestale e civile. Non è cosa da poco, significa nutrire, vestire e occuparsi di quasi il doppio del numero di uomini che costituiscono il nostro esercito. Con la creazione di questi corpi di protezione civile, prenderemo due piccioni con una fava. Così facendo, è chiaro che le nostre risorse naturali saranno valorizzate; inoltre, allevieremo una discreta parte della tensione sociale. Questo nobile gruppo di uomini ha accettato il lavoro su basi puramente volontarie, non è richiesto nessun addestramento, militare e in questo modo conserviamo non solo le risorse naturali ma anche quelle umane. Un altro grande punto di forza di questo la voro è che sia immediato e richieda solo un modesto intervento di mezzi meccanici. Secondo, ho richiesto e ottenuto dal Congresso l'approvazione di una domanda relativa alle grandi proprietà demaniali che il Governo possiede a Muscle Shoals, perche queste siano di nuovo utilizzate dopo anni di deprecabile inattività, e con un forte piano per il miglioramento di una vasta area nella valle del Tennessee. Questo servirà a portare agio e felicità a centinaia di migliaia di persone, e il beneficio avrà i suoi effetti sull'intera nazione.

Inoltre, il Congresso sta per approvare una legge sulle ipoteche che allevierà il malumore tra i contadini e i proprietari di case di tutto il paese, attraverso una riduzione del debito che oggi grava su milioni delle nostre famiglie.

Il passo successivo nella ricerca di un sollievo immediato è una sovvenzione di mezzo miliardo di dollari da destinare agli stati, le conte e  le municipalità per assistere coloro che hanno un bisogno più immediato e disperato.

Il Congresso ha anche approvato la legge che permette a qualsiasi stato lo desideri di vendere liberamente birra, con il conseguente aumento dell'occupazione e provvedendo  a ripristinare il gettito fiscale di cui avevamo tanto bisogno.

Ora, è nostra intenzione chiedere al Congresso di approvare una legge che permetta al governo di appaltare i lavori pubblici, stimolando direttamente e indirettamente un nuovo flusso di occupazione per molti altri progetti ben pianificati.

Un'ulteriore manovra approvata è ben più fondamentale per affrontare i problemi economici del presente. Si tratta della Farmer Relief Bill, un disegno di legge il cui scopo è cercare attraverso l'utilizzo di mezzi diversi, distinti o uniti che siano, di garantire ai coltivatori diretti e indiretti un aumento degli introiti per i prodotti di più largo consumo, e allo stesso tempo di prevenire per i tempi a venire la disastrosa produzione in eccesso, cosa che in passato è stata spesso la causa del ribasso esagerato dei prezzi per i beni agricoli di prima necessità. Questo provvedimento assicura vasti poteri per affrontare le emergenze, il cui utilizzo dipenderà soltanto dal futuro che ci aspetta.
Misure cautelative ben studiate saranno così sottoposte al Congresso, nel tentativo di garantire agli operai dell'intero paese un guadagno più giusto, prevenire una concorrenza indiscriminata e un numero eccessivo di ore di lavoro, e allo stesso tempo incoraggiare tutte le industrie a prevenire la sovraproduzione.
La Railroad Bill rientra nella stessa categoria, poiché il suo obiettivo è di elaborare e definire dei piani studiati direttamente dalle compagnie ferroviarie, assistite dal governo, allo scopo di eliminare là proliferazione e lo spreco che risulta dall'amministrazione controllata delle compagnie e dal continuo deficit. Sono sicuro che il popolo di questa nazione comprende e approva l'obiettivo di ampie vedute dietro queste nuove politiche governative, riguardanti l'agricoltura, l'industria e i trasporti. Ci siamo ritrovati con più scorte agricole di quante ne potessimo consumare, con un eccesso di beni che le altre nazioni non potevano permettersi di acquistare se non a prezzi rovinosamente stracciati. Abbiamo scoperto che le nostre industrie erano in grado di produrre più beni di quanti potessimo utilizzarne, e allo stesso tempo la domanda di esportazioni era crollata. Il numero delle società di trasporto di merci e raccolti era superiore a quello delle merci e dei raccolti da trasportare. Tutto questo è in larga misura la conseguenza di una totale mancanza di pianificazione, e un completo fallimento nella comprensione dei segnali di pericolo che erano già nell'aria dalla fine della guerra mondiale. Il popolo di questo paese è stato erroneamente incoraggiato a credere che poteva continuare a spremere all'infinito fattorie e fabbriche, e che un giorno un mago avrebbe trovato il sistema e i mezzi perché quell'abbondanza venisse consumata con un giusto ritorno economico per i produttori.
Oggi, abbiamo ragione di credere che la situazione sia leggermente migliorata rispetto a due mesi fa. L'industria si è ripresa, le ferrovie hanno più traffico, i prezzi sono più ragionevoli, ma non sono certo qui a indulgere in proclamazioni e assicurazioni entusiastiche. Non possiamo cullarci nell'idea di una ritrovata prosperità. Sarò onesto fino in fondo con la nazione. Non voglio che la gente di questo paese approfitti stupidamente di questo miglioramento per creare una nuova ondata speculativa. Non voglio che la gente creda che per questo ottimismo ingiustificato possiamo riprendere la rovinosa pratica di aumentare la produzione dei raccolti e dell'industria nella speranza che intervenga qualche ricco compratore. Un simile percorso ci condurrebbe forse a una prosperità istantanea ma fallace, che ci spingerebbe in un nuovo baratro. È decisamente sbagliato definire le misure adottate come un controllo del governo sulle fattorie, l'industria e i trasporti. Si tratta piuttosto di una partnership tra il governo, il settore agricolo, industriale e dei trasporti; non una partnership di profitto, poichè questo andrà alla popolazione, ma una collaborazione nella stesura dei piani e nella loro esecuzione.
Mi spiegherò con un esempio. Prendete l'industria del cotone. Probabilmente è vero che il novanta percento dei produttori di cotone aderiranno all'eliminazione di stipendi da fame, di lunghe ore di lavoro, dello sfruttamento dei minori, della sovraproduzione che condurrebbe a eccessi non vendibili. Ma si può definire buono un accordo se il rimanente dieci percento dei produttori di cotone continua a pagare stipendi da fame, domanda un orario di lavoro eccessivo, sfrutta i minori negli impianti e produce un esagerato eccesso di beni? Questo scorretto dieci percento produrrebbe a prezzi così bassi che il corretto novanta percento si troverebbe costretto a seguire la loro strada. Ed è qui che entra in scena il governo. Il governo, dopo un'operazione di sorveglianza e pianificazione, dovrebbe avere, e presto lo avrà, il diritto di prevenire la condotta scorretta e di assicurare il pieno rispetto della normativa in nome della sua autorità, anche con la collaborazione dell'industria stessa. Le cosiddette leggi antitrust erano pensate per prevenire la creazione di monopoli e proibire l'irragionevole quantità di profitti che questi monopoli avrebbero guadagnato. Lo scopo di quelle leggi deve essere perseguito, ma non sono mai state elaborate per favorire il genere di concorrenza sleale caratterizzata da orari eccessivi, salari da fame e produzione in eccesso. Lo stesso principio va applicato ai prodotti agricoli e al settore dei trasporti, e a qualsiasi campo dell'industria privata.
Stiamo lavorando per ottenere un risultato preciso, cioè evitare il ritorno di quelle condizioni che sono state a un passo dalla distruzione di ciò che noi chiamiamo civiltà moderna. Il raggiungimento di questo scopo non avverrà certo in un giorno. Le politiche in corso sono la continuazione dei motivi che hanno spinto centocinquanta anni fa alla nascita del Governo costituzionale d'America.
Sono certo che il popolo di questo paese capirà sia la pratica sia lo spirito con cui mettiamo in atto questa politica. Non nego che sbaglieremo qualcosa nel compimento di questo piano. Non mi aspetto di fare centro a ogni colpo. Ciò che intendo raggiungere è la media migliore, non solo per me ma per tutta la squadra. Una volta, Theodore Roosevelt mi disse: «Se ho ragione il settantacinque percento delle volte, avrò raggiunto la piena realizzazione delle mie speranze».
Si è discusso molto delle riserve federali e dell'inflazione, negli ultimi tempi, del valore dell'oro e così via.
Permettetemi di parlare chiaro e con semplicità. Prima di tutto, credito governativo e valuta governativa sono la stessa identica cosa. Dietro i buoni del governo c'è la ferma promessa di pagare; dietro la valuta governativa, oltre alla promessa di pagare, abbiamo una riserva d'oro e una modesta scorta d'argento. A proposito di queste riserve, è giusto ricordare che in passato il governo ha acconsentito di estinguere debiti e rimborsare in valuta trenta miliardi in oro, mentre le società per azioni del paese hanno stabilito di rimborsare altri sessanta o settanta milioni di obbligazioni e mutui in oro. Il governo e le società per azioni hanno raggiunto tali accordi pur sapendo perfettamente che le riserve auree degli Stati Uniti ammontavano circa a tre o quattro miliardi, e che tutto l'oro nel mondo ammontava a circa undici miliardi.
Se coloro che hanno assicurato di pagare avessero chiesto di ricevere quell'oro, i primi ad arrivare, circa un venticinquesimo dei possessori di obbligazioni e valuta, l'avrebbero ottenuto e sarebbe bastato per qualche giorno. Ai ventiquattro rimanenti, quelli che non erano in ci¬ma alla lista, sarebbe stato educatamente detto che non c'era più oro a disposizione. Così, abbiamo deciso di trattare equamente tutti e venticinque, nell'interesse della giustizia e nel pieno esercizio dei poteri costituzionali del governo. Abbiamo considerato ciascuno di essi con il medesimo principio, così da garantire il bene generale.
In ogni caso, l'oro e l'argento fino a un certo punto, costituiscono delle solide fondamenta per la circolazione del denaro ed è per questo che ho deciso di non permettere la fuoriuscita dell'oro presente nel paese.
Tre settimane fa, si è creata una serie di condizioni che avrebbe potuto significare subito, primo, un prosciugamento delle nostre riserve d'oro da parte delle potenze straniere, e secondo, come risultato diretto, un'uscita di capitale americano in forma di oro. Non è esagerato affermare che ciò avrebbe intaccato pesantemente le nostre scorte, provocando un ulteriore indebolimento del credito privato e governativo, un aumento del panico per la situazione attuale e il completo arresto dell'ingranaggio industriale.
L'Amministrazione punta al rialzo dei prezzi all'ingrosso, permettendo così a coloro che hanno preso del denaro in prestito di ripagare il debito con una moneta non svalutata. Non permetteremo che il dollaro scenda così tanto da permettere a costoro di estinguere il debito a un valore infinitamente più basso di quello con cui l'hanno acceso. In altri termini, cercheremo di correggere un errore senza per questo rischiare di commetterne uno nuovo. Ecco perche sono stati conferiti all'Amministrazione certi poteri. Se necessario, aumenteremo il credito per correggere l'errore già esistente. Questi poteri saranno esercitati quando, come e se sarà necessario per conseguire gli obiettivi.
Di pari passo con la situazione interna, che certamente è in cima alla lista delle nostre preoccupazioni, va considerata la panoramica mondiale. Voglio essere chiaro nel dirvi che la situazione interna è profondamente e inevitabilmente legata alle condizioni degli altri paesi nel mondo. In altre parole, e con molta probabilità, saremo in grado di ripristinare la prosperità negli Stati Uniti, ma non sarà permanente finchè non avverrà la stessa cosa in tutto il mondo.
Nelle conferenze che abbiamo tenuto e che continuiamo a tenere con i leader delle altre nazioni, stiamo cercando di raggiungere quattro grandi obiettivi. Primo, una generale riduzione degli armamenti, per attenuare il terrore di invasioni e attacchi, allo stesso tempo una riduzione dei costi degli armamenti, per favorire un assestamento del budget di governo e una riduzione delle tasse.
Secondo, un alleggerimento degli ostacoli commerciali, per favorire un nuovo scambio di beni e raccolti fra le nazioni. Terzo, la stabilità della moneta corrente, in grado di stimolare i contratti commerciali in anticipo.
Quarto, il ristabilirsi di relazioni amichevoli e una maggiore fiducia tra tutte le nazioni.
I nostri visitatori stranieri, nelle ultime tre settimane, hanno reagito positivamente a questi scopi. Tutte le nazioni hanno sofferto duramente in questa grande depressione, e sono arrivate alla conclusione che l'aiuto reciproco è il migliore sistema per uscirne. È con questo spirito che i nostri visitatori hanno deciso di incontrarci per discutere i problemi comuni. La conferenza internazionale che stiamo preparando deve avere successo. È il futuro stesso del mondo a chiederlo, e ognuno di noi si è sforzato al massimo perchè questo avvenga.
A voi, popolo di questo paese, tutti noi, i membri del Congresso e i membri dell'Amministrazione, rendiamo un profondo debito di gratitudine. Avete dimostrato pazienza nel corso di tutta la depressione, ci avete garantito estesi poteri e incoraggiato con l'approvazione unanime dei nostri obiettivi. Abbiamo dedicato ogni oncia della nostra forza, ogni risorsa in nostro possesso, alla giustificazione della fiducia che ci avete accordato. Siamo incoraggiati a credere che un inizio saggio e sensato sia stato messo in atto. Così, nello spirito di questa fiducia reciproca e di mutuo incoraggiamento, noi proseguiamo con il nostro lavoro."


FRANKLIN D. ROOSEVELT
(1882-1945)

INTERVISTA DI ASCANIO CELESTINI AL "IL FATTO QUOTIDIANO"

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8 - L'OTTAVO VIZIO CAPITALE: L'INDIFFERENZA


Questo capitolo della rubrica nasce dall'esigenza di ricordare una persona: don Andrea Gallo.

Ormai sono passati alcuni mesi dalla sua scomparsa, è indelebile però il segno che ha lasciato.
Don Gallo è stato l'esempio di una cultura cristiana veramente aderente al Vangelo, fatto eccezionale nella nostra Italia.
La gran parte delle istituzioni ecclesiastiche nostrane, infatti, rivendicano quotidianamente le radici cattoliche della nostra storia, per poi schierarsi sempre dalla parte del potere e dell'ipocrisia.
È per questo che la testimonianza del "Gallo" assume un valore ancor più importante, il simbolo di un cambio di rotta all'interno dell'istituzione religiosa, che, a mio giudizio, va sostenuto non soltanto per cambiare la Chiesa, ma l'Italia.
Tra i tanti messaggi che don Andrea ci ha lasciato c'è ne uno particolarmente importante per il momento storico che viviamo: l'indifferenza è un male tanto grave da poter essere definito un vizio capitale.
L'ottavo vizio capitale assieme a superbia (desiderio irrefrenabile di essere superiori, fino al disprezzo di ordini, leggi, rispetto altrui), avarizia (scarsa disponibilità a spendere e a donare ciò che si possiede), lussuria (desiderio irrefrenabile del piacere sessuale fine a se stesso), invidia (tristezza per il bene altrui, percepito come male proprio), gola (meglio conosciuta come ingordigia, abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola, e non solo), ira (irrefrenabile desiderio di vendicare violentemente un torto subito), accidia (torpore malinconico, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene).
L'indifferenza non deve essere intesa soltanto come il mancato interesse per ciò che è comune, l'assenza di partecipazione, ma anche come l'incapacità di distinguere. 
Quest'ultimo è per me il significato peggiore dell'indifferenza perchè porta a fare di tutta un'erba un fascio, a non capire che l'uguaglianza degli uomini sta nella loro diversità.

Riporto due brani, il primo di Antonio Gramsci e il secondo di Erri De Luca
Affrontano e approfondiscono questi due aspetti.

ODIO GLI INDIFFERENTI

di Antonio Gramsci

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. 
E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

INDIFFERENZA

tratto dal libro "Alzaia" di Erri De Luca

Nel mio vocabolario personale alla parola “indifferenza” ho scritto: incapacità di distinguere le differenze.
Indifferenza non è un infischiarsene del mondo, piuttosto un disturbo della percezione per cui non si riesce a distinguere la differenza tra realtà e messinscena. Si assiste da inerti a una violenza, a una disgrazia perchè si crede di essere a una rappresentazione, gratis, in cui si è tenuti ad agire da spettatori. E non s'è mai visto uno del pubblico che salti in palcoscenico per impedire a Otello di uccidere Desdemona. Chi si crede spettatore si gode lo spettacolo.
L'indifferenza è un disturbo opposto a quello di Don Chisciotte che s'immischiava di tutti i fatti e i guai degli altri. Anche lui distingueva male la realtà, soffrendo però d'interventismo estremo. Irrompe anche in uno spettacolo di marionette, facendo una strage di pupazzi, credendoli nemici. Prende lo spettacolo per realtà e mai si contenta d'essere spettatore. In ascolto dei notiziari televisivi bisognerebbe sciacquarsi un po' gli occhi con il febbrile collirio di Don Chisciotte. Sentirsi un po' meno spettatori, un po' meno membri di una cavalleria errante e irritabile.
Uno dei verbi di Elohìm nella creazione è “dividere/distinguere”. “E distinse/divise Elohìm tra la luce e la tenebra” (1, 4), “e ci fu distinzione/divisione tra acque e acque” (1, 6) e altri ancora. La creazione procede per divisioni a due, per biforcazioni, come il sangue dal cuore. Chi non sa distinguere inceppa il lavoro della creazione che non si è esaurito nei sette giorni. L'indifferenza è un torto contro il creato, non contro la società.

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9 - IL REGNO DEGLI UOMINI, DOVE GOVERNA LA TECNICA



Il regno degli uomini, dove governa la tecnica

“Nella terra degli uomini - dove suona la musica - e governa la tecnica”, così Jovanotti canta nel brano “La terra degli uomini”.
Non c’è dubbio che grazie agli avanzamenti scientifici le nostre condizioni di benessere siano cambiate in meglio; strano, d’altra parte, che rimanga forte e diffuso in noi un senso di disorientamento, una insanabile insoddisfazione.
La tecnologia, oggi, ci fa comunicare in tempo reale con chi si trova dall’altra parte del mondo, ci consente di spostarci fisicamente in diversi modi, così come permette il trasporto di merci e capitali in tempi incredibilmente brevi. C’è, poi, una lunga serie di ausili accessori che rendono la nostra quotidianità infinitamente più agevole rispetto ai nostri antenati: dall’automobile ai condizionatori; dalle grande infrastrutture ai computer nelle nostre case e nei luoghi di lavoro; dalla connessione Wi-Fi per l’accesso alla Rete alla Tv a pagamento e via dicendo. 
È difficile affermare che i benefici della tecnica siano goduti in modo uguale da tutta l’umanità, ma rimane il fatto che le nostre vite sono state sgravate da diversi pesi, alcuni dei quali molto faticosi da affrontare ed è possibile, infine, registrare una tendenza, ovverosia l’espansione di un modello sociale tecnocratico a tutto il globo.
Dovremmo rallegrarci di quello che sta accadendo, eppure, negli anni 2000, giungono ancora le crisi, che fanno crescere la rabbia sociale, la quale interpella a sua volta la politica. 
La politica, però, si presenta come succube di poteri impersonali come quello economico o quello mediatico, si presenta come il prolungamento di elitè sempre meno individuabili e sempre meno espressione dei popoli e dei loro bisogni. 
Per il superamento della crisi, per esempio, la politica ritiene sia sufficiente correggere alcuni parametri economici, che tutto risiede nell’individuare le adeguate leggi contabili.
Non abbiamo forse assistito in questi anni al balletto dei governi tecnici, dei consulenti, dei burocrati e dei commissari alla spending review?
La politica è un’attività umana come altre, che ha un suo compito specifico importantissimo e rispetto alla quale tutti gli uomini e le donne esprimono un giudizio, anche coloro che si dichiarano indifferenti; ed è dunque dentro di noi che vanno trovate le ragioni del declino del nostro tempo.
Ciò accade certo quando chi ricopre ruoli dirigenziali non si assume le proprie responsabilità,  ma c’è anche un’altra ragione: la gran parte di noi continua a preferire la scienza al Sapere, la parzialità alla Verità; gran parte di noi ha valutato la conoscenza che presidia la comodità degli strumenti tecnologici migliore del sano sacrificio che richiede la ricerca di sé stessi e la vita di relazione.
La conoscenza tecnica, infatti, ha per oggetto soltanto una parte della realtà, una porzione  delle cose che va studiata in profondità, ma pur sempre isolandola dal resto. Una sezione di realtà che deve essere analizzata per ricavare le applicazioni che ci permettono di avere sempre più il dominio su quella parte di mondo.  
Si tratta, allora, di un punto di vista circoscritto, dal quale non possono che derivare soluzioni ipotetiche, precarie, straordinariamente importanti per il progresso scientifico, per la ricerca e per lo sviluppo, molto meno o per niente per il progresso culturale e dunque politico. 
Il metodo scientifico è diventato filosofia scientifica, in base alla quale ci siamo convinti che grazie agli strumenti tecnologici la nostra potenza sia diventata insuperabile, che sia possibile affrontare il mondo da soli. Mai un’illusione è stata così bugiarda, così incapace di descrivere la complessità e la magia dell’essere umano, che sa concepire l’Eterno. Nella terra degli uomini, pertanto, può ancora suonare la Musica, perché, come dice ancora Jovanotti nell’ultimo singolo trasmesso dalle radio, “ora che siamo qui noi siamo gli Immortali”



"Eppure, eppure proprio quando il paradiso della scienza potrà realizzarsi, si farà innanzi e diventerà incombente una privazione, tanto più angosciosa quanto più essa tenderà a restare l'unica privazione della vita dell'uomo. 
Il paradiso della scienza è infatti fondato sulla logica della scienza, cioè su una logica ipotetica, che ha rinunciato a presentarsi come verità definitiva e incontrovertibile. Questo vuol dire che, per quanto elevata e crescente, la felicità del paradiso della scienza è ipotetica, ossia può presentarsi da un momento all'altro come illusoria, ed è inevitabilmente accompagnata dalla consapevolezza di questa possibilità.
Ma un paradiso in cui è possibile chiedersi se esso non sia un'illusione è un inferno. Quanto più si è felici, tanto più il terrore di perdere la felicità rende infelici.
Nietzsche ha rilevato che, nella società moderna, le migliori condizioni di vita e la sicurezza raggiunta riducono o eliminano l'angoscia per l'imprevedibilità del divenire e danno il piacere dell'imprevisto e dell'avventura. E si può pensare che questo fenomeno raggiunga il culmine con le condizioni di vita rese possibili dal paradiso della scienza e della tecnica... Si ama l'avventura e l'imprevisto se si è sostanzialmente sicuri; ma non li si ama più quando la felicità è così alta da crescere sempre e tuttavia ci si rende conto che la sicurezza del suo possesso rimane nonostante tutto un'ipotesi e che quindi il paradiso può essere improvvisamente perduto.
Il paradiso della scienza è inevitabilmente privo di verità, perché la nostra cultura ha abbandonato da tempo la pretesa di conoscere la verità. E l'ha dovuta abbandonare, perché la verità, come evocazione degli immutabili, è stata “un rimedio peggiore del male”. Tuttavia, una volta che l'uomo ha attraversato l'epoca che lo separa dal paradiso della scienza - l'epoca in cui ha ancora senso il piacere dell'avventura e dell'imprevisto, perché tale piacere può riuscire superiore al dolore del naufragio -, l'imprevedibilità del divenire torna a farsi angosciosa, anzi spinge al punto più alto dell'angoscia, perché ora ciò che il divenire può tenere in serbo è il naufragio del paradiso. Anche il rimedio della scienza fallisce.
È a questo punto che la filosofia potrà avere un futuro.
Fino a questo punto, la filosofia, come evento sociale, è destinata a non mutare, ossia ad allargare e a rafforzare il suo carattere presente, il suo compito di proteggere il divenire dalle incursioni e dai ritorni della tradizione, rendendolo disponibile all'azione scientifico-tecnologica.
Quando invece, con l'avvento del paradiso della scienza, ci si renderà conto che il paradiso in cui si abita non ha verità, e l'angoscia diventerà insopportabile, la filosofia potrà trovarsi di fronte a un bivio.
O si rivolgerà nuovamente alla verità della tradizione epistemica occidentale, oppure, finalmente, incomincerà a mettere in questione lo spazio, portato alla luce dal pensiero greco, in cui cresce l'intera storia dell'occidente fino all'avvento del paradiso della scienza: lo spazio che è comune sia all'evocazione degli immutabili, sia alla loro distruzione, sia al paradiso della scienza – lo spazio costituito dalla fede nell'esistenza del divenire.
Nel primo caso, si riaprirebbe il circolo che dal rimedio epistemico conduce inevitabilmente al rimedio scientifico e al loro fallimento.
Nel secondo caso, la filosofia, come evento corale e voce dei popoli, incomincerebbe a rendersi conto che la suprema “evidenza” del divenire è appunto una fede, anzi la fede che tra tutte è stata la meno discussa; incomincerebbe cioè a rendersi conto che lo spirito critico del passato, del presente e del futuro della civiltà occidentale, discute tutto, ma non discute l'essenziale, cioè la fede di fondo in cui l'Occidente si muove, la fede che le cose escono dal niente e ritornano nel niente.
Per quanto sconcertanti possano apparire oggi queste affermazioni, è però possibile sin d'ora comprendere che l'uomo va alla ricerca del rimedio contro l'angoscia del divenire, perché innanzi tutto crede che il divenire esista; e che quando si incomincia a mettere in questione questa fede – a guardarla in faccia e a chiederle con quale autorità essa parla -,  si incomincia a mettere in questione la logica del rimedio.
Nemmeno per Nietzsche il superuomo sente il bisogno di un rimedio e di un riparo contro il divenire. Ma quanto stiamo dicendo accenna a un senso radicalmente diverso dal “superuomo”: ci si porta oltre l'uomo quando ci si libera dalla fede del divenire, e quindi dall'angoscia che essa produce, e quindi dal bisogno di costruire un riparo contro di essa."


Emanuele Severino da “La filosofia dai Greci al nostro tempo. La filosofia contemporanea”
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10 - DISEDUCATIVO


L'Italia può essere raccontata anche come la patria della cattiva interpretazione. 
Partendo dalla religione, tutti nel nostro Paese (purtroppo) hanno esperienza dei danni provocati dalla dottrina dogmatica imposta dal potere ecclesiastico per secoli. I dogmi della fede sono quelli che hanno creato la doppia morale, il familismo amorale e gli assurdi pregiudizi e divieti in ordine alla libertà sessuale dell’individuo.
Tuttavia, con Papa Francesco qualcosa sembra essere cambiato davvero. Si può parlare di una vera e propria rivoluzione in atto nell'ambito della Morale, tale da rendere davvero evangelica la Chiesa di Roma, liberata dal potere temporale e per questo molto lontana dagli innumerevoli tentativi posti in essere in passato per condizionare le istituzioni democratiche (comunque non completamente cessati). Chissà, allora, se a questo punto non sia possibile una rivoluzione culturale anche nell'ambito della Politica. Con quest'ultima dimensione gli Italiani hanno sempre avuto un rapporto davvero difficile, oggi complicato ancora di più dalla contingenza storica. Nella maggior parte dei casi il cittadino italiano non si riconosce in alcuna identità politica e ha un enorme diffidenza nei confronti di chi frequenta i palazzi del potere. Nella migliore delle ipotesi questa mentalità assume varie forme di populismo, di destra e di sinistra; nella peggiore diventa predominante una visione indifferenziata del mondo, ormai ideologia dilagante, ossia il cd. qualunquismo. Ci sono ragioni storiche che possono spiegare tutto questo, ma oltre a ciò c’è un modello educativo di fondo che punta tutto sulla trasmissione di valori etici e poco a saggiare la nostra capacità di azione, con evidenti conseguenze negative sul nostro modo di pensare, di giudicare e, per l’appunto, di agire.
Per esempio, quando a scuola ci viene presentato un autore come Machiavelli, la nostra prima reazione è un facile giudizio che bolla il suo pensiero come cinico, spietato e privo di basi morali. A dimostrazione il fatto che tra Savonarola e Machiavelli, i due grandi rivali della Repubblica Fiorentina, scegliamo di schierarci per il primo, il predicatore che richiama ai buoni principi e all’onestà (quanti sono in Italia gli imitatori di Savonarola!). Del resto, non è vero che Machiavelli ha descritto la politica come sfera autonoma dalla morale? Non è forse sua la frase “il fine giustifica i mezzi”?
In verità, nella sua opera più importante, una delle maggiori della modernità, il testo che ha fondato la scienza politica, “Il principe”, non si rinvengono tracce di quelle parole. Dal mio punto di vista è giunto il momento di approfondire seriamente il pensiero di Machiavelli e di mettere in discussione le false tesi sul suo conto, tesi, peraltro, profondamente diseducative.
Il vero insegnamento di Machiavelli è che l’etica senza l’azione politica non ha alcun senso e che la seconda trae dalla prima fini e mezzi.
Fare questo, a mio giudizio, significa affrontare una delle tappe fondamentale per portare a compimento la rinascita italiana, per scoprire come i tratti così caratteristici della nostra amata Italia possano riproporsi nel mondo già affacciato sulla modernità. Suggerisco a tal fine un brano davvero illuminante tratto dal libro “La redenzione dell’Italia” di Maurizio Viroli.

Buona lettura e buon pensiero!!!!


“Se davvero avesse enunciato la tesi dell’autonomia della politica, tale pensata sarebbe il suo peggior insegnamento, da ricordare come semplice curiosità storica. Ben altro, e di grande valore, è quanto ci ha lasciato sul rapporto fra azione politica e principi etici. In tutti i suoi scritti ha esortato ed educato a perseguire ideali di chiare valore etico: la fondazione di buoni ordini politici che possano assicurare il bene comune e il governo della legge; la libertà e la dignità della patria; la lotta contro la corruzione politica, il riconoscimento della virtù quale unico titolo per accedere ai più alti onori; l’odio verso ogni forma di tirannide. Altro che autonomia dall’etica! La politica trae da questa i fini e i mezzi. Questi ultimi valgono infatti, con buona pace del trito e banale detto che per Machiavelli “il fine giustifica i mezzi” – in quanto servono un fine moralmente degno, non qualsiasi fine politico, da quello di un redentore a quello di un tiranno. Se il politico che persegue tale fine moralmente degno è costretto a essere “non buono” o ad “entrare nel male”, la sua azione può essere scusata – mai giustificata – soltanto perché il fine è eticamente nobile e i mezzi necessari. Questa lezione Machiavelli la trae anche dalla Bibbia, in particolare dal libro dell’Esodo, dove Mosè compie efferate crudeltà per poter condurre il popolo d’Israele alla Terra Promessa. Il Principe, è bene tenerlo presente, si chiude con l’invocazione di un redentore che abbia Dio amico, come l’ebbe Mosè. Quanto al valore teorico del concetto di autonomia della politica, non sono certo necessarie molte parole per spiegare che la tesi è falsa in via di fatto e diseducativa. È falsa in via di fatto in quanto l’opera di politici è sempre stata, e non può non essere, giudicata in base a criteri etici. È diseducativa in quanto è un incoraggiamento a mal fare a chi è già in tal senso ben disposto. Non era certo questo il significato che Croce e Chabod attribuivano al concetto di autonomia della politica, ma in Italia essa è stata presa a bandiera dai politici corrotti che hanno invocato  immunità per le loro malefatte, proclamando ai quattro venti che il loro operato non può essere giudicato con ordinari criteri morali.”