venerdì 28 febbraio 2014

Non è questa la strada del cambiamento Parte II

E quindi siamo arrivati a un'altra tappa delle epurazioni,
che è impossibile questa volta non considerare pratica sistematica e applicata con grande rigore.
Risulta difficile infatti giustificarle come scelta "eccezionale", “doverosa" sulla base della presunta indisciplina di alcuni. 
Se si guarda ai motivi per cui è avvenuta la purga c'è da rabbrividire. I quattro parlamentari si sarebbero permessi di far notare a Grillo che durante le consultazioni poteva essere un po' meno arrogante.
Senza parlare dell'ennesimo siparietto di maleducazione e annessi insulti di deputati e senatori “grillini” nei giorni della fiducia a Renzi. Roba da bulli delle superiori.
Si aggiunga, infine, ad alimentare la profonda delusione che si prova a vedere certe cose, l'opinione di alcuni autorevoli giornalisti, vedi Scanzi su "Il Fatto Quotidiano" di due giorni fa, che ritengono che rispetto ai Cinque Stelle si guardi soltanto alla pagliuzza e non alla trave.
Per loro soffermarsi sugli aspetti di forma è cosa di poca importanza, che oscura tutto il resto.
Ora, di tutto questo resto vorrei anche discuterne visto che si sono rifiutati di fare politica non scegliendo mai da che parte stare. 
Una scelta in realtà l'hanno presa: il tirare a campare di andreottiana memoria (e meno male che dovevamo sbarazzarci della prima repubblica).
Ma poi mi chiedo anche, l'educazione, il rispetto e l'esempio sono valori che vanno di moda a seconda dei tempi?
Mi chiedo ancora (ma forse sono io che non c'arrivo) se ci si rivolge a una persona, e per di più che ricopre un'importante istituzione, utilizzando la provocazione e l'offesa siamo sicuri che si sta comunicando?
Mi hanno insegnato a scuola che le istituzioni rappresentano il senso di unità di una comunità, se insulto chi le ricopre in un dato frangente non solo non ho alcun senso dello Stato, ma quali speranze ho di convincere chi da quella persona si sente rappresentata?
Ricordo che in democrazia per governare serve almeno il 50 % dei consensi; essendo la democrazia un regime politico di libertà bisognerebbe impegnarsi a convincere i cittadini che le proprie sono le idee più valide per risolvere i problemi, bisognerebbe lavorare per far cambiare idea alle persone. All'accusa ci pensano già i pubblici ministeri.
Sempre a scuola mi hanno insegnato che nella modernità la cultura politica non può fare a meno del dissenso e dell'analisi critica.
Mi hanno insegnato che altrimenti non si può governare una società complessa come quella attuale.
Dato il quadro delineato direi che è meglio continuare nella riflessione iniziata in un post dal titolo identico a questo.
Quando commentai i risultati elettorali del 2013, usai la parola fallimento riferendomi all'Italia dei Valori.
L'Italia dei Valori, come molte altre forze politiche nate dopo Tangentopoli, nelle quali includo anche il Movimento Cinque Stelle, hanno rappresentato e rappresentano l'indignazione per la cd. casta e l'incapacità della politica tradizionale di rinnovarsi e di cambiare.
Vista però la storia di questi movimenti, l'espulsioni di ieri ne sono un'ulteriore conferma, la parola fallimento credo vada estesa.
Ma che diavolo di direzione si è intrapresa?
In ognuna di queste forze si rinvengono, dove più dove meno, degli elementi comuni che non c'entrano nulla con la diversità tanto proclamata:
  • leader che bucano lo schermo e gestiscono il partito in maniera padronale;
  • linguaggio triviale e sprezzo per le istituzioni;
  • pessima selezione della classe dirigente, dovuta, da un lato, a una partecipazione decantata, ma in realtà fittizia (con il M5S siamo arrivati al mito della Rete) e, dall'altro, dall'assenza di organizzazione interna;
  • spontaneismo nella pratica politica, con le scelte che vengono assunte sulla base dell'emotività del momento e non sulla base del modello di società che si ha nella testa;
  • intolleranza alla critica;
  • retorica spicciola che specula sulla rabbia della gente e si traduce in un immobilismo della protesta;
  • incapacità di distinguere: destra e sinistra non esistono, sono tutti uguali;
  • la questione morale tradotta in superiorità morale.
    E meglio fermarsi qui perchè altrimenti l'amarezza aumenta.
Tornando un poco indietro, forse sarà vero che non emerge tutto quello che è stato fatto e viene fatto e senz'altro i media non esprimono il massimo dell'onestà intellettuale.
Io però credo, ed è una convinzione che ho maturato attraverso l'esperienza che sto facendo, che governare è una cosa seria. Sapere che le responsabilità di guida di un paese intero vengano prese sulla base di questi presupposti mi fa raggelare.
Siamo ad un punto in cui bisogna ragionare davvero sull'importanza dell'art. 49 della Costituzione e del suo significato all'interno dell'architettura della nostra Repubblica.
I partiti sono i primi luoghi in cui il cittadino impara a convivere politicamente con gli altri e a confrontarsi. Sono i luoghi in cui libertà, diritti e doveri sanciti nella Costituzione diventano materia viva, cioè pratica civile partecipata.
La degenerazione dei partiti è innegabile, ma il fenomeno sta dentro al decadimento morale e culturale del nostro paese, non altrove.
Il problema non è la loro esistenza, ma il loro funzionamento.
E allora ragioniamo su come cambiarli, non su come annientarli, perchè sono tra le istituzioni portanti della nostra società.
Istituzioni portanti perchè proprio attraverso di essi si dovrebbe creare il legame rappresentanza-governabilità, con il consenso creato a partire dai territori e non nelle segreterie da una scaltra oligarchia.
Per continuare nella riflessione di seguito trovate il testo dell'art. 49 della Costituzione e due articoli, uno di Curzio Maltese e l'altro di Beppe Severgnini. Fidatevi non sono dei collaborazionisti.
Infine un'apertura di credito verso Il Movimento Cinque Stelle di Oliviero Beha. Magari ci stupissero.

ART. 49 COSTITUZIONE

Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale